Ti è mai venuta l’idea di prendere in famiglia una ragazza (o un ragazzo!) au pair, alla pari?

Nonostante dubbi e paure, io e il mio compagno abbiamo deciso di vivere questa esperienza per l’estate. Sulla carta ci aspettavamo di ricevere un aiuto per gestire il nostro bambino e dargli l’opportunità di fare una full immersion nella lingua inglese. Per noi poteva essere un’occasione per confrontarci con un’altra cultura, ma le incognite erano tantissime.

In questo video, sia io che Veronica, la nostra ragazza au pair americana, ti raccontiamo in un’intervista doppia, come abbiamo vissuto questi due mesi e mezzo di convivenza.

Come trovare una ragazza au pair?

Quando abbiamo deciso di ospitare una ragazza alla pari, io e il mio compagno non abbiamo pensato ad agenzie, passare tramite conoscenze ci sembrava “più sicuro”. Io ho fatto la quarta liceo negli Stati Uniti per cui sono andata a bussare alla porta di quella donna eccezionale che io chiamo “la mia mamma americana”, perché mi aiutasse a trovare una ragazza desiderosa di venire in Italia e stare vicino al mio bambino.
È così che ho conosciuto Veronica, una diciottenne del Nebraska.

Cosa bisogna aspettarsi quando si ospita una ragazza alla pari?

La nostra au pair non aveva fatto altre esperienze ed è partita senza aspettative. Ha deciso di affrontare il viaggio con mente aperta e tanta voglia di imparare, convinta che così avrebbe potuto cogliere il meglio di ogni momento.
Noi, come genitori, qualche aspettativa in più ce l’avevamo eccome! Doveva essere, prima di tutto, una ragazza responsabile, visto che dovevamo affidarle il nostro bambino! Ma non finiva qui, volevamo una persona che fosse anche piacevole ed educata visto che con lei avremmo condiviso casa, vacanze, spazi, cene e risate per quasi tre mesi!

Ci sono stati dei timori da affrontare, per noi e per la au pair.

Benché a noi sembri incredibile, Veronica aveva paura che il cibo italiano non le piacesse! Temeva anche di sentire troppo la mancanza della sua famiglia e dei suoi amici: come darle torto?
Dal canto nostro anche noi avevamo un sacco di paure! Ad essere proprio sincera molte di queste perplessità erano del mio compagno, che, a differenza mia, non era abituato a condividere gli spazi della casa e della famiglia: temeva un’“invasione di territorio” e di perdere la sua privacy.

Quando si inizia un’esperienza con una au pair, l’importante è essere chiari fin dall’inizio!

Per correttezza e trasparenza sin dall’inizio ho deciso di mandare a Veronica una mail dove le ho spiegato bene quello che per me era importante: da quello che le avrei chiesto di fare per noi, a cosa noi avremmo fatto per lei, fino alle abitudini familiari e i ritmi di vita a casa e in vacanza. Così era tutto alla luce del sole e non avrebbero potuto esserci fraintendimenti.

Arrivati alla fine di questa esperienza “alla pari”, possiamo dire di essere stati fortunati, ma non solo!

Fondamentalmente siamo stati tutti molto disponibili e aperti reciprocamente: abbiamo imparato nuove abitudini e modi di fare, abbiamo accettato incuriositi diverse esigenze e stili di vita. Sono stati due mesi e mezzo davvero interessanti per entrambe le parti.
Da parte mia posso dire che ascoltare le esperienze degli altri è importante, ma queste non possono pregiudicare ciò che si vuole provare nella vita. Veronica temeva di replicare la terribile esperienza di una sua amica come au pair in Gran Bretagna, ma ha saputo andare oltre per vivere la sua avventura personale, e io non sapevo se dare credito alle esperienze altrettanto terribili che alcune famiglie ospitanti ci avevano riferito, ma per fortuna non l’ho fatto.

Apertura mentale e voglia di condivisione sono il segreto per una buona esperienza alla pari.

L’aver aperto la nostra famiglia e l’aver condiviso molti aspetti delle nostre vite sono state le cose che Veronica ha più apprezzato di questa esperienza. Dal canto nostro, a noi è piaciuta molto l’attenzione che ha avuto per il nostro bambino in ogni momento e la sua grande educazione.
Ogni giorno siamo cresciuti insieme: lei ha scoperto quanto può essere indipendente (e smemorata, visto che in due mesi ha perso due telefoni!), e io ho imparato a rapportarmi col mondo degli adolescenti, cosa che, garantisco, non mi è venuta proprio spontanea, anzi!
Soprattutto è stato evidente a tutti che comunicare serenamente in modo chiaro, senza lasciare nulla di non detto ed essere elastici e aprirsi al confronto educato può essere davvero stimolante, formativo, e consentire a tutti di vivere un’ottima esperienza.

Per una ragazza (o ragazzo) alla pari è di sicuro importante anche il poter vivere in una nazione straniera sperimentando la vera quotidianità, non come turista.
Per una mamma, invece, vi posso garantire che è molto emozionante vedere come il proprio bambino interagisca con quello che, a tutti gli effetti, è un estraneo, per lo più straniero, in modo molto spontaneo come se fosse, invece, una persona di famiglia.

La lingua e i giochi coi bambini: ogni cosa contribuisce a far sentire tutti a proprio agio.

Nel periodo in cui Veronica è stata con noi abbiamo sempre cercato di usare l’inglese per comunicare anche in famiglia, almeno ogni volta che lei era con noi. Lei parla solo poche parole di italiano, quindi ha apprezzato anche il fatto che, nonostante il mio compagno non avesse dimestichezza con la sua lingua, si sforzasse comunque di usarla.
Con il nostro bimbo, poi, Veronica si è sempre data da fare per assecondare le sue necessità di gioco. Insieme hanno giocato a palla, hanno costruito moltissime cose, hanno travasato l’impossibile, hanno fatto un sacco di “girotondi” e hanno letto tantissimo. Insieme ne hanno viste di belle!

Il trucco per far funzionare tutto è stato stabilire con chiarezza a priori gli orari in città, ma cercare anche di assecondare le necessità del momento da entrambe le parti. Finché c’era l’asilo Veronica e il mio bambino stavano insieme alcune ore nel pomeriggio fino al momento della cena, poi, in vacanza, abbiamo sempre cercato di organizzarci a secondo delle attività che erano in programma per la giornata, lasciando sempre degli spazi “liberi” per tutti.

I grandi progressi linguistici che una au pair può stimolare

Stare con una ragazza americana, per mio figlio, ha voluto dire fare enormi progressi con l’inglese. In realtà i suoi progressi sono stati anche con l’italiano: a due anni è passato dal pronunciare dei suoni, al dire parole di senso compiuto… in entrambe le lingue!

Naturalmente ci sono state delle abitudini che ci hanno un po’ colto di sorpresa, come il fatto che Veronica mangi chili di burro d’arachidi, ma anche lei è rimasta un po’ spiazzata dalla nostra abitudine di cenare tutti seduti a tavola, mentre lei era abituate a cene veloci, o alla quantità di pomodori che si mangia in casa nostra.

Lo scambio culturale è stato davvero completo: lei ha imparato un po’ di italiano (soprattutto la filastrocca del “Giro giro tondo”) e io ho migliorato il mio inglese. Ma quello che ne ha guadagnato più di tutti è stato di sicuro il mio bimbo! Ha migliorato notevolmente le sue capacità linguistiche, anche se non ha ancora imparato bene il nome di Veronica e preferisce chiamarla… gnocca!

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☀️ #allegralu

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